Varsavia!
I pensieri di un moralizzatore
La ricerca
Mi sorprende il numero di librerie che ho incontrato, non solo nelle strade più centrali, ma anche nelle traverse. Alcune sono grandi, altre piccole; alcune eleganti, altre meno. Ci sono in vetrina i soliti best seller internazionali, da Harry Potter al Codice Da Vinci.
Tra tanti titoli che non ho capito, mi è saltato agli occhi un volume con Ernest Hemingway ritratto sulla copertina. Ho pensato per un attimo che sarebbe carino collezionare libri in tante lingue diverse, tanto per avere un ricordo dei posti dove si è andati, anche se non si è in grado di capirne un solo rigo. Per fortuna, l'idea mi è passata subito.
Ho cercato inutilmente una copia di Topolino, o qualcosa del genere, nelle edicole, riconoscibili per l'insegna stranamente comprensibile: Paperioski, che ricorda papers (in inglese vuol dire carte, ma anche articoli di stampa); per inciso, è l'unica parola polacca che ho imparato. Topolino non c'è, né ho trovato alcun altro fumetto. Non ho avuto il tempo di cercare nelle librerie, ma sospetto che non si trovi nulla neanche lì.
In Italia tendiamo a pensare che il fumetto sia un genere universale; invece, lettori di fumetti accaniti come gli italiani ce ne sono pochi. Anche gli autori si concentrano in pochi paesi: Italia, Francia, Belgio, Argentina, USA. Il Giappone sembra un caso del tutto a parte; i nipponici producono e consumano fumetti in quantità impressionante. Sono abbastanza incompetente in fatto di manga, ma non ci vuole molto a rendersi conto che sono un mondo nel quale si trova di tutto. Non ci sono solo facce orribili, capelli impressionanti e occhi spropositati, come quelli di Gokoou. Ci sono anche disegni carini (a me piace moltissimo il gatto-robot Doraemon), fumetti per adulti (inclusi i porno) e storie divertenti per tutti, come quelle di Lupin III, il pronipote di quell'Arsène Lupin che seguivo da ragazzo nei telefilm in bianco e nero della RAI. Per inciso, il disegno delle anime di Lupin III è migliore di quello dei manga, almeno per quanto si vede dal volumetto della collana Serie Oro di Repubblica. Comunque sia, confesso: mi è sempre piaciuto e non chiedetemi il perché.
Piccole guerre e deliri fantascientifici
A un certo punto mi sono accorto che i conti non tornavano: ancora due giorni e un solo paio di mutande pulite.
Riciclarne una già usata (pensiero peregrino che si è affacciato alla mente di un uomo disperato) non se ne parlava proprio. È bastata una valutazione sommaria, diciamo a lume di naso. Tempo di comprarne di nuove non ce n'era. Ma come diceva Sherlock Holmes, quando sono state scartate tutte le alternative possibili, l'ultima che resta, per quanto improbabile, deve essere seguita fino in fondo: dovevo procedere al lavaggio, che non sembrava presentare difficoltà, ma anche alla parte più complicata: l'asciugatura.
La stanza non aveva balconi e in più, come si usa in tanti luoghi tristi, per impedire che l'ospite decidesse di gettarsi dalla finestra preso da improvviso furore, gli infissi erano bloccati; se ne poteva aprire al più una fessura di dieci centimetri per far passare l'aria. Era una precauzione davvero eccessiva: visto che la stanza era al primo piano, difficilmente il gesto estremo sarebbe stato coronato da successo. Intanto, però, non potevo sciorinare le mutande.
Capisco la prudenza degli albergatori. Se si è in un brutto momento e se si è soli, le stanze d'albergo fanno venire la malinconia. Si girano gli occhi e, senza muoversi, si ha sotto controllo tutto lo spazio a disposizione; avendone voglia, con poche triangolazioni se ne determina il volume. Si tende l'orecchio, ma non si sente niente, perché la porta è robusta e sigilla l'ambiente. Si ha il tempo di ascoltare i propri pensieri, che rimbombano nel silenzio e possono dare fastidio e dolore. Questi inferni per depressi contano davvero un certo numero di suicidi.
Una svolta drammatica avrebbe forse risollevato le sorti di quest'insulso volumetto, ma io non mi trovavo affatto in questo stato d'animo e non inventerò per il diletto dei lettori il coup de théâtre che nei fatti è mancato, Avrei tra l'altro dovuto contattare qualcuno per la pubblicazione postuma, una cosa davvero noiosa. Ero sereno e sarei stato addirittura rilassato, sebbene la permanenza a Varsavia non fosse una vacanza; per la precisione, con gergo da impiegato statale, la devo definire una missione. Sarei stato rilassato, dicevo, ma non lo ero, per via delle mutande. Soffrivo per motivi di carattere meramente pratico, maledicendo la preveggenza di chi si era meritoriamente impegnato nella lotta contro pochi suicidi, trascurando la sofferenza dei molti impegnati nella più banale impresa di stendere due pannucci ad asciugare.
Risolvere arzigogoli è comunque attività stimolante per il cervello. Ho già detto del mio sorprendente assetto microcefalico, non ho confessato invece che spero sempre in quel miracolo che la scienza sembra non negare del tutto: un nuovo neurone o, se non altro, qualche sinapsi in più, potrebbero venir fuori grazie a ripetute stimolazioni dell'organo (del pensiero). L'occasione sembrava ghiotta; ho preso il coraggio a due mani e l'ho stimolato.
Nell'assoluta necessità di avere mutande asciutte in ventiquattro ore, temendo al contrario di ritrovarmele ancora umide nell'ipotesi in cui le avessi semplicemente stese in camera, mi sono girato intorno con la stessa concentrazione del cane da tartufi, alla ricerca dell'appiglio che mi avrebbe tolto dall'impaccio.
Nel bagno non c'era il phon, ma lo sguardo si è posato su due lampade poste accanto allo specchio, coperte da una sfera di vetro, un po' impolverate, ma tiepide. Nessuno, quando progetta un nuovo elemento d'arredo e lo pensa nella sua geometria e nelle sue funzioni, magari pure ne adatta all'uomo forma e sostanza, può prevedere a quali missioni questo vada incontro, e di che rilievo per la vita dei singoli; anche perché, con la produzione industriale, ormai da secoli il designer si rende padre di un esercito sconfinato e incontrollabile di figli e riesce al più, con coscienza professionale, a incanalare la propria responsabilità parentale al controllo di parametri standardizzati come il costo, la sicurezza, il successo commerciale. Non si potrebbe credere che quelle lampade siano state create così, perché un giorno potessero servire ad asciugare mutande. Eppure, un'ispezione rapida e una valutazione sommaria dei rischi mi hanno convinto della perfetta idoneità allo scopo. Alla fine, ci ho provato.
Devo fare a questo proposito, come minimo sindacale, due citazioni dotte. La prima riguarda La guerra dei cloni, che fa parte della saga delle Guerre Stellari. Parafrasando Yoda, il piccolo Jedi verde: "Questa Guerra delle mutande cominciata è!"
Alla seconda citazione, forse più pertinente, devo fare una premessa. Questa guerraè stata motivata dal soddisfacimento di bisogni primari; inquadrandone agevolmente natura e sviluppi, Marx ne sarebbe stato lieto. È stata però anche una romantica guerra di ideali, lo scontro dell'uomo contro la tecnologia nel tentativo di tenerla in pugno e piegarla ai propri scopi. E qui casca il francese Foucault, che non c'entra nulla col pendolo, ma fu filosofo e comunista. La mia sfida è nobile, direbbe, perché ostante il bio-potere, cioè il potere che la tecnologia prende perfino sul rapporto intimo che ciascuno ha con se stesso. E cosa c'è di più intimo, dico io, delle mutande?
Siamo all'epilogo: avendo a disposizione due lampade, ho lavato due paia di mutande. Alla sera, tornato in camera, le ho trovate asciutte e piacevolmente tiepide. Dopo avere perso ai punti la prima battaglia, ho vinto con l'astuzia la guerra.
Non so per quanto tempo ancora l'uomo riuscirà a imporsi sugli oggetti; il margine di manovra diventa ogni giorno più stretto. Il futuro ci riserva lampade intelligenti, dotate di processori e sensori, collegate al computer che gestirà l'appartamento. Saranno lampade capaci di ribellarsi all'imposizione delle mutande, protestando l'inadeguatezza e forse la mortificazione derivante dall'inopinato copricapo. Non so se ci metteranno in guai maggiori, ma come minimo, contegnose, si spegneranno lasciandoci impotenti a piangere sulle mutande bagnate.
Il futuro ci attende. Pur essendo incapace di stupirmi di qualunque novità, perché ne ho già viste tante, a tratti mi riscopro conservatore e pronto a qualche timida resistenza passiva contro l'avanzare della tecnologia. Ho avuto la prima televisione a colori solo perché mi è stata regalata da papà e mamma: probabilmente ero rimasto l'unico proprietario di una TV in bianco e nero nel quartiere. Ho avuto il primo telefonino con grande ritardo sulla massa dei consumatori e mi guardo bene dal cambiarlo anche se non fa le foto e neppure il caffé.
D'altro canto, vivo in una casa con tre computer. Col terzo ho una storia di reciproche incomprensioni; l'ho smontato e rimontato pezzo per pezzo, formattato e reistallato almeno dieci volte, eppure ogni tanto continua a tradirmi. Ne uso, un po' qui e un po' lì, almeno una decina e ci passo su un bel po' di tempo.
Sono le contraddizioni della nostra epoca. Se dovessi esprimermi ora, su due piedi, direi che mi rifiuterò sempre con forza di acquistare lampade che prendano troppe iniziative, privandomi della libertà di vessarle e torturarle a mio giudizio, perché protesto la mia capacità, finché a dispetto delle stimolazioni non si afflosceranno gli ultimi neuroni, di valutare da solo se l'imposizione delle mutande sia o meno un fatto utile, se non comporti rischi di incendio, corto circuito o guerra termonucleare. Sempre che non nasca l'idea di controllare via satellite anche la gestione della biancheria, a tutela della salute pubblica e per la tranquillità dell'autorità preposta, in modo che sia prontamente sanzionata ogni deroga al corretto uso e sia prevenuto ogni abuso, a costo di infilare un naso elettronico nei nostri pantaloni. A chi pensasse che esagero, do appuntamento tra vent'anni. Lo aspetterò con queste paginette in mano.