Varsavia!


I pensieri di un moralizzatore



XI Capitolo


APPENDICI

Formule frequentemente usate e suggerimenti su come utilizzare il testo


Ritorno a casa


Sulla strada a quattro corsie per senso di marcia che mi riportava all'aeroporto, il traffico era quasi bloccato. Il tassista se ne è fatto un cruccio personale e sbuffava e sudava, accelerava e frenava, finché, quando ha avuto strada libera, è schizzato via facendo una gimkana tra le auto ed esibendosi in numerosi improperi che non saprei ripetere. Lui se ne è scusato, ma l'ho potuto tranquillizzare ridendo: "Don't worry, I didn't understand a word!" Ho invece capito benissimo che, a un certo punto, si è lamentato e ha dimostrato il classico sciovinismo maschilista verso una donna al volante di un altro taxi, che provenendo da destra aveva giustamente preteso la precedenza. Sentimenti e linguaggio internazionali.

Nel viaggio ho ripensato agli ultimi avvenimenti salienti di questa trasferta. Dopo il comportamento esuberante dei primi due giorni, il mio tubo digerente ha mostrato maturità e condiscendenza, improntando le sue reazioni ad una puntualità svizzera. Puntualità sulla quale, a buon diritto, avevo contato anche per il giorno della partenza. Quale maggior timore, infatti, può prendere il viaggiatore che abbia lasciato l'albergo nella mattinata, se non quello di essere esposto al rischio di improvvise esigenze, in posti inopportuni o mal attrezzati?

Invece mi sono svegliato presto, ho fatto la solita colazione, ho preso la solita dose di muesli per le fibre, il solito white coffee, il solito succo di mela e ho aspettato il solito momento. Non è successo niente. Ho fatto due passi, perché avevo un'ora libera, ho bevuto altro succo di mela, e niente. Mi sono rassegnato. Ho fatto comunque l'ultima doccia e, come si dice, ho preparato armi e bagagli.

Varsavia mi è piaciuta, ma non la ho lasciata con un peso sul cuore. Il peso, evidentemente, era circa trentacinque centimetri più in basso.



Postfazione


Varsavia! è nato in modo del tutto casuale, anche se non ricordo più come; ma ormai il danno è fatto e ciò che mi resta da dire non aiuta certo a porre rimedio.

Non riesco a definire questo testo, come vorrebbe l'Editore, un diario di viaggio. Non ha la cadenza di un diario, perché l'ordine cronologico è stato stravolto e perché in buona parte è stato scritto a distanza di tempo dagli avvenimenti narrati. Non è neanche di viaggio, perché se è vero che c'è un'andata ed un ritorno, si è trattato tuttavia solo di una trasferta di lavoro, che è ben altra cosa. Chi si sposta per lavoro ha ritmi e impegni ben diversi dai viaggiatori, siano essi turisti occasionali o appassionati girovaghi. Del lavoro però non mi andava di parlare ed è rimasto in ombra, pur avendo occupato quasi interamente le mie giornate.

Varsavia si è dimostrata una città simpatica, che conserva solo piccole tracce della movimentata storia passata. Ho tentato di raccontare l'effetto che mi ha fatto, ma mi sono anche lasciato andare a divagazioni di vario genere, sul filo conduttore della Polonia o sul filo della memoria. È proprio questa la considerazione che guida alla mia definizione: guardando cosa ne è venuto fuori, direi che Varsavia! è uno sciocchezzario, un contenitore nel quale è finito di tutto e che non vuol dire niente.

Il lato peggiore della vicenda è che mi ero preparato con impegno alla scrittura, in modo da issarmi sulle spalle di giganti, come fece Newton. Avevo presenti davanti a me delle fonti di ispirazione perfette per una penna appena migliore della mia; insomma ero pronto a copiare, anche se poi non l'ho fatto, non ne sono stato capace, ho desistito. Una cosa però la confesso: da poco avevo avuto tra le mani Chatwin, di cui ammiro l'equilibrio tra esotismo e cronaca. Non possiamo fargliene una colpa, ma proprio lui mi aveva ispirato l'idea del racconto di viaggio. Ora il meschino si rivolta infelice nella tomba. Non so neppure se son riuscito a tenere il tono leggero che desideravo, parlando di cose pesanti, e mantengo il dubbio che certe situazioni possano far ridere solo me, considerando che in fin dei conti parlo sempre di mutande. Tirando le somme, ho guardato i giganti dal basso in alto e siccome ero molto in basso non ho visto granché.

Quanto alla lingua, ho faticato ben più del dovuto ed ho fatto ricorso ai più sporchi trucchi nel tentativo di renderla decente, ma ogni rilettura mi ha sempre lasciato insoddisfatto. A proposito: sono sicuro che, nonostante le revisioni del dodicenne Marco (vide infra), saranno rimasti in giro strani errori di sintassi e di ortografia; pazienza. Purtroppo, da quando ho diciotto anni soffro della sindrome del congiuntivo e dai quaranta di dislessia progressiva galoppante.

Tutti dicono che, quando si scrive, non bisogna preoccuparsi troppo delle reazioni di chi potrebbe leggere. È un'affermazione saggia, ma quando io ho provato a immaginare il testo in mano ai miei familiari sono andato in tilt e ho rischiato di smettere. L'unico al corrente della mia iniziativa, che ho condotto in gran segreto per il divertimento della sorpresa, è stato Marco; è stato anche l'unico cui ho chiesto consigli, come dicevo, e li ho sempre seguiti. Ma a dispetto di quanto ho appena scritto, è chiaro che questa paccottiglia è un regalo (non richiesto) al colto pubblico della mia famiglia.

Questa escusatio non petita non serve a mettere le mani avanti e infatti si trova collocata post factum; serve dunque a metter le mani dietro, per pararsi dall'ira che potesse legittimamente dirigere qualche piede verso il fondo dei miei pantaloni. Non faccio promesse, perchè non si sa mai, ma quasi sicuramente non farò più nulla del genere in vita mia. Soprattutto se le mani, pur poste come dicevo, non dovessero bastare a proteggermi.

Un ultimo commento, per spiegare il sottotitolo: I pensieri di un Moralizzatore. Moralizzatore è diventato ultimamente il mio soprannome in famiglia. Piuttosto che spiegare il perché, citerò un racconto surreale che mostra il come.

Una mattina, appena svegliati, Mariella mi ha detto:

"Sai, ieri Biro ha fatto pipì sullo stenditoio e ha bagnato la tua camicia azzurra".

E io: "Ah!"

Lei, continuando: "L'ho messa nella cesta dei panni".

"Ma come, l'hai messa insieme agli altri panni? È rimasta così da ieri? Adesso si saranno sporcati tutti!"

"Senti, è inutile che fai tante storie. Quello che è successo è colpa tua. Quando stendo io i panni, sullo stenditoio metto solo panni piccoli, che non pendono giù; così Biro non li può sporcare".

"Ma scusa, tu i panni non li stendi mai!"

"Basta, ha ragione Ialina. Hai qualcosa da dire su tutto. Sei il solito Moralizzatore!"

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