Varsavia!
I pensieri di un moralizzatore
La Wisła
Ho fatto una breve passeggiata alla ricerca della Vistola o, per usare l'endonimo, della Wisła. È un corso d'acqua di tutto rispetto, di notevole portata, navigabile in quasi tutto il suo corso, che taglia in due la Polonia.
Camminando in direzione del fiume, sono entrato in un grande parco pubblico e lo ho attraversato senza dedicare troppa attenzione al Muzeum Narodowe, né al Muzeum Wojska Polskiego, che ho superato in fretta. Sono arrivato a un belvedere e lì mi sono fermato. Ho scoperto che la città si trova su un altopiano, forse elevato di 100 metri sul livello del fiume; e che la Wisła scorreva troppo lontano perché la potessi raggiungere in quel momento.
Roma, Parigi, Londra e tutte le grandi città fluviali che ricordo di aver visto hanno sfruttato gli alvei fino all'ultimo metro, ricorrendo a grandi opere di contenimento, che hanno profondamente modificato la natura dei luoghi. A Varsavia, invece, il bacino del fiume è ancora, in larga parte, intatto; ci sono gruppi di alberi e grandi prati, tagliati solo qua e là da viali o dalle grandi arterie stradali che collegano le due parti della città.
Qui la Wisła è molto larga, il che forse spiega perché il primo ponte stabile per collegare le rive opposte sia stato costruito solo nella seconda metà dell'ottocento. Il bacino, con le sponde che digradano dolcemente, segna un solco largo molte centinaia di metri nell'altopiano e lo sguardo si spinge liberamente all'orizzonte abbracciando un panorama molto ampio. Si ha l'immagine di una città immersa nel verde. Il confronto con le nostre città fa riflettere: Napoli ha circa 8500 abitanti per km2, Varsavia circa 3200 in media, ma nel centrale quartiere di Wilanów, la densità si abbassa a 350 abitanti per km2.
La scena non è tagliata fuori dal mondo. Le auto scorrono veloci sulla Armii Ludowej, a quattro corsie per senso di marcia, e sulla Czerniakowska, che ne ha tre. Queste strade si incrociano con svincoli autostradali proprio sotto il mio punto di osservazione. C'è un traffico molto sostenuto; il rumore echeggia nella valle.
Mattoncini
Dopo il disastro della Grande Guerra, Varsavia è stata ricostruita sotto il regime socialista. L'effetto, a prima vista, mi è sembrato infelice: stradoni larghi e costruzioni anonime. Però non sono belle neanche le zone più recenti, seminate di grattacieli, tirati su da ben diverse amministrazioni politiche.
La lunghissima e larghissima Marzałkowska, che partendo dalla piazza su cui si affaccia il mio albergo taglia buona parte della città, è dominata dal Centrum, dove ha sede il Museo della Scienza e della Tecnica, un alto palazzo costruito in quello stile così caro a Stalin, carico di massicce colonne e improbabili frontoni. A quanto pare non è molto amato dai Varsaviesi. Condivido la loro opinione: è orribile.
Non mi sono piaciuti neanche gli altri edifici storici, di stile neoclassico, probabilmente riedificati sulle macerie nel dopoguerra. Tra questi, il peggiore è il Teatro dell'Opera, che si presenta come un bianco tempio greco illuminato da fari gialli, verdi e rossi. L'effetto è kitsch; per questo è finito nella copertina di questo diario.
Dopo i primi due giorni, questo è tutto ciò che ero riuscito a vedere. Siccome io parto sempre prevenuto, ero arrivato alla solita conclusione: questa città è brutta. Il fatto è che, a livello conscio o inconscio, stabilisco sempre un paragone con Napoli e Napoli spesso vince, perché è bella, anche se mal ridotta, ed io ci sono molto affezionato.
Piano piano, però, mi sono accorto di avere avuto una visione incompleta. Ho dovuto cambiare idea; adesso Varsavia mi piace. Con un po' di ritardo, ho scoperto la Città Vecchia, che è il vero cuore di Varsavia. Anche questa zona era stata rasa al suolo ed è stata ricostruita dai Varsaviesi con cura, talvolta riutilizzando i materiali recuperati dalle macerie. Il risultato è sorprendente, perché non c'è nulla che suoni falso o fuori posto. È un quartiere stilisticamente molto unitario, pedonalizzato, elegante e apparentemente ricco di storia.
Immagino quante opere d'arte siano state irrimediabilmente perdute, nelle chiese e nei palazzi di corte bruciati e demoliti. Non ho avuto il tempo di entrare in questi edifici, ora rimessi a nuovo. Posso solo immaginare che debbano dare la stessa impressione che dà ai Napoletani Santa Chiara, che ha subito sorte analoga ed oggi ha le navate e la copertura ricostruite, mentre si è salvato il campanile. Probabilmente gli interni saranno più spogli e meno ricchi di un tempo; ma questo veramente non lo so e tiro solo ad indovinare.
La Città Vecchia si allunga fiancheggiando la Nowy Swat e poi la Krakoviskie Przedmieście, per concentrarsi intorno alla bellissima Plaz Zamkowy. È una zona molto estesa e molto vissuta, perché è ricca di negozi, alcuni dei quali davvero eleganti, e di bistrot di stile francese. È affollata di gente del luogo e di turisti, tra i quali ho riconosciuto molti tedeschi.
Le piazze e i marciapiedi sono abbelliti da moltissimi monumenti in bronzo, alcuni probabilmente antichi, altri recenti. Varsavia ha ricordato così gli orgogli cittadini e quelli nazionali. Tra gli altri spiccano Copernico, l'antico Principe Poniatowski e il più recente Principe della Chiesa Cattolica, il Cardinale Wyszynski. Il Primate di Polonia deve essere stato molto amato prima di lasciare il posto, nel cuore dei Polacchi, al primo papa loro connazionale.
Non ho trovato, in questa zona, né monumenti, né strade o piazze intitolate a Carol Woytila; c'è però una piccola targa commemorativa in bronzo. Papa Giovanni Paolo II non era originario di Varsavia, bensì della regione di Cracovia, nel sud della Polonia. Cracovia, secondo centro per importanza dopo Varsavia, ha da sempre conteso a questa lo scettro di capitale, ed è oggi considerata la più bella città polacca. Ha avuto la fortuna di superare più o meno indenne la II guerra mondiale. Immagino che ci possa essere un po' di gelosia e campanilismo che contrappongano abitanti di Varsavia e di Cracovia; ma è solo un'altra illazione.
La Rynek Starego Miasta (la piazza del mercato della città antica) è parzialmente occupata dai tavolini dei bar. C'è un piccolo mercatino d'arte, dove si trovano esposti acquerelli, oli e carboncini fatti da artisti di strada, non particolarmente interessanti. Al centro della piazza, circondato dai turisti armati di macchine fotografiche, c'è un bel bronzo raffigurante una sirena, levata sulle onde, che brandisce una sciabola e uno scudo. Nonostante l'armamento, ha lo sguardo sereno volto all'orizzonte.
Sulla strada che attraversa la piazza, l'unica vettura ferma era una carrozzella trainata da un bel baio dalla criniera bionda. Il vetturino era abbigliato in modo tradizionale, con la giacca nera e una coppola di stile bolscevico. È poi passata un'altra carrozzella in tutto simile, portando a spasso una famiglia di turisti, con i bambini sorridenti e felici. Il cavallino trotterellava allegramente e le ruote cerchiate in metallo producevano il solo rumore che si avvertiva in giro.
L'unico rammarico, nell'attraversare la Città Vecchia, è stato di essere solo. È un posto molto romantico. Tranquilli: non ho fatto nulla per rimediare sul posto! Pensavo solo a Mariella...
Punti di svista
Mariella ha iniziato a soffrire di mortalità neurale precoce parecchi anni fa. Ce ne accorgemmo all'improvviso, quando cercava dappertutto il sapone intimo, sbraitando contro le persone che lasciano tutto in disordine. Trovammo il sapone in frigo e ce lo aveva messo lei. A posteriori, ho capito che la sindrome aveva già fatto suonare un campanello d'allarme anni prima; fu nei primi tempi del nostro matrimonio, quando Mariella iniziò a conservare decine di calzini sporchi nell'armadio.
Per sua fortuna e per mia sfortuna, gli inconvenienti sono limitati al settore domestico; Mariella è ormai incapace di mettere a posto la spesa in frigo e nella dispensa; di riordinare gli asciugamani; di tenere in ordine i suoi libri. Credo però che non abbia perso più di un decimo della materia grigia di cui era dotata e resta quindi una donna molto brillante. Io, invece, ho problemi più seri.
Col passare del tempo, il numero dei neuroni attivi nel mio cervello è diminuito a vista d'occhio (l'espressione è figurata: nessuno ha mai guardato nella mia scatola cranica). Attualmente ne ho tre: uno nel lobo destro, uno in quello sinistro e il terzo in posizione centrale arretrata. Purtroppo, il neurone sinistro non funziona bene. L'elettrauto, quando gli ho spiegato il problema, mi ha consigliato di cambiare le sinapsi, perché certamente ce n'è qualcuna che fa un falso contatto. Disponendo di pochissima memoria, ho dimenticato il suo consiglio, così mi ritrovo ancora oggi a soffrire di fastidiosi problemi.
Per dirne una, dimentico continuamente in giro le chiavi. Ne ho quattro mazzi: casa e auto; scantinato; ufficio e laboratorio a C.; ufficio e laboratorio a Napoli. La mattina, quando esco, scelgo quali portare; siccome sono comunque troppe, le metto nello zainetto. Una mattina dovevo andare prima in laboratorio a Napoli e poi in Facoltà a C. A Napoli dimenticai lo zainetto in auto; dovetti tornare indietro a prenderlo, perché era presto, e in laboratorio non c'era nessuno. Per sicurezza, misi allora tutte le chiavi nella giacca. Poi partii per C. e all'arrivo dimenticai la giacca in macchina; così arrivai in ufficio, guardai la porta chiusa e girai i tacchi per tornare all'auto, come se niente fosse e senza neanche imprecare. Poiché tutti i neuroni erano impegnati a interpretare gli eventi, non avevo sufficiente memoria (nel senso informatico del termine) per sentirmi sconsolato.
Un'altra volta persi le chiavi dell'auto a C., da qualche parte in Facoltà. Girai come un disperato per tutto l'edificio, percorrendo a ritroso tutte le mie tappe tra aule e uffici, senza trovarle, finché dovetti smettere per andare a lezione. Prima però chiesi al mio laureando, P., di dare ancora un'occhiata. P. è un ottimo ragazzo, sempre attivo e sereno: mi ricorda Ciccio, il nipote di Nonna Papera. A volte, entrando in laboratorio, ho la sensazione che stia dormendo in piedi. Altre volte, dorme davanti al computer. Quando tornai dalla lezione, ero ormai convinto di avere perso in un colpo solo la speranza di tornare a casa (niente auto, niente ritorno: vita da pendolare...) e le chiavi. Gli chiesi per pura formalità se le avesse ritrovate; naturalmente rispose di no e si assopì di nuovo. Con la forza della disperazione, ripresi le mie ricerche da solo. Le chiavi erano sulla scrivania di Giuseppe, sotto il suo naso.
Il difetto di massa neurale mi provoca allucinazioni. A volte mi accade la mattina. Per esempio, quando sono svegliato da una lingua che scorre sulla faccia, sugli occhi e dietro le orecchie, ho la netta sensazione che si tratti di un cane e addirittura mi convinco di possedere un cane. Purtroppo, però, io non ho un cane. Ho un animale in casa, ma non è un animale domestico. Dopo avermi leccato la faccia, l'animale salta sul letto, si distende a pancia all'aria e ringhia se cerco di buttarlo giù. In altri momenti, salta sui tavoli come un gatto e ringhia se cerco di farlo scendere. Quando poi torno a casa, invece di fare le feste, mi morde per rimproverarmi della mia assenza e ringhia se voglio farlo smettere. Davvero non è un cane.
Ho raccolto personalmente il piccolo Satanasso ringhioso, alle cinque
di una fredda e piovosa mattina di febbraio. Era umido e spaurito e si fingeva
buono e affettuoso. Fu chiamato Biro, perché è nero come l'inchiostro. Col
tempo Biro ha svelato la sua vera natura. Somiglia per molti aspetti ad alcuni
personaggi quasi umani della letteratura. Il più tenero è Satanicchio, alias Popcorn,
il diavoletto rosso disegnato da Jacovitti, che è cattivissimo nell'animo, ma
finisce per non realizzare mai i suoi piani. Il riferimento più appropriato è
però Bobik, il protagonista di Cuore di cane, di Michail Bulgakov. Il povero
Bobik è vittima dell'esperimento di Filipp Filippovic Preobrazenskij, che gli
trapianta l'ipofisi e lo trasforma in essere umano; così Bobik diventa Poligraf
Poligrafovic Bobikov, un individuo ossessionato dai gatti, ladruncolo,
molestatore sessuale e mezzo alcolizzato. Insoddisfatto del risultato,
Preobrazenskij lo trasforma di nuovo in cane. Per altri versi, tuttavia, Biro ricorda
l'orribile Azanello, l'assistente del Diavolo in persona nel bellissimo romanzo
Io e Margherita, ancora di Bulgakov.
I randagi che popolano la piazza dove abito conoscono bene il mio animale. I loro scontri mi riportano alla mente la mitica scenetta con Topolino e lo zio Mortimer, nel racconto Mickey Mouse in the Death Valley del 1930. Mortimer si vanta con Topolino di avere catturato da solo cento indiani che lo volevano scotennare. Quando Topolino, incredulo, gli chiede come abbia fatto, lui risponde: "Li ho circondati!". Proprio come fa Biro con i randagi.
Ho fatto una lunga premessa, ma arrivo al dunque. La mattina del quarto giorno a Varsavia ho avuto un'altra delle mie allucinazioni: mi è sembrato di essere lontano da una famiglia affettuosa e ho avuto addirittura un piccolo moto di nostalgia. Travolto dalla forza dei sentimenti, ho deciso che dovevo comprare dei regali.
La sera ho guardato le vetrine con occhi diversi. Nel centro storico ci sono negozi molto belli e tra questi in particolare spiccano le gallerie d'antiquariato. Non trattano articoli che mi potessero interessare in quel momento, anche perchè i prezzi che esponevano erano scoraggianti.
Ho visto anche molte gioiellerie, con vetrine piene di monili graziosi ed eleganti, ma nessun negozietto di paccottiglia per turisti, che mi abbia aiutato a sollevare la coscienza. Mi sono fatto un'idea sommaria della situazione; non ho comprato niente e sono tornato in albergo a dormirci su.
Vista panoramica
Varsavia è abitata in parte da bipedi e in parte da quadrupedi. I rappresentanti più numerosi del primo gruppo appartengono alla specie Homo, ma ne ho già parlato nel II capitolo, né penso di aggiungere altro. Oltre a quelli ho visto in giro dei piccioni, allegramente appollaiati sulle statue di bronzo e di pietra, così frequenti in città, e delle quali hanno assai poco rispetto, scambiandole come al solito per toilettes avicole. Poi ci sono dei corvi dalle penne lucide e nere, che gracchiano forte e si fanno notare e apprezzare per l'aria seria e compassata.
Ho incontrato anche un pavone, libero a spasso nel bellissimo Park Łazienkowski, ma non ci siamo fermati a parlare. Ho scoperto questo giardino dopo quattro giorni di permanenza a Varsavia. Fu realizzato per volere del re Stanisław August Poniatowski, nel XVIII secolo. Da principe gli hanno fatto la statua di cui ho già fatto menzione; come nelle favole, è poi diventato re. Il giardino è molto esteso; le dimensioni mi sembrano confrontabili con il Parco della Reggia di Caserta (avrei potuto stabilire il confronto con il Parco di Capodimonte, ma i miei futuri lettori stranieri avranno così un riferimento più familiare).
Il Park Łazienkowski contiene un bosco fitto di alberi secolari ed è attraversato da un canale artificiale alimentato dalla Wisła. È ricco di padiglioni e piccoli edifici; c'è perfino un teatrino all'aperto, su un minuscolo isolotto, in stile belle epoque. E' molto suggestivo perché una sottile vena d'acqua separa il palco dagli spalti.
Il Palazzo Reale è costruito di fronte a un piccolo laghetto e per questo è detto Pałac na Wodzie (palazzo sull'acqua). È in stile Neoclassico e la facciata sobria, che si riflette nell'acqua immobile, produce un effetto incantevole. Nel laghetto nuotano paperelle e cigni.
Ho finalmente capito cos'è una Orangerie; si tratta di un agrumeto sotto serra. Ce ne sono in diverse capitali europee, perché erano molto di moda nel '600. Ce n'è una anche nel Park Łazienkowski.
Ho preso una specie di caffé in un bistrot molto grazioso; mancavano soltanto gli abiti d'epoca per sentirsi completamente immersi in un'atmosfera anni '20. Ne ho approfittato per scrivere un po' degli appunti che sono finiti nello sciocchezzario (vide infra). Andando via, ho raggiunto un piccolo castello affacciato su un belvedere e, per la seconda volta, ho avuto davanti a me il panorama di Varsavia. Anche da questo punto si abbraccia con lo sguardo un lungo tratto del percorso dalla Wisła e ci si rende conto di come il parco occupi una buona parte del lieve pendio che porta dalla parte della città sulla riva sinistra al fiume. Il belvedere ospita un elegantissimo ristorante all'aperto; quando ci sono passato davanti, tutti i tavoli erano occupati.
Per concludere, vorrei aggiungere una nota sui quadrupedi. Ho già detto dei cavalli al traino nella Rynek Starego Miasta. Ho visto anche molti cani al guinzaglio; evidentemente, i Polacchi amano molto gli animali. Camminano con aria dignitosa e non abbaiano. Sembrano più tranquilli di quelli che ho posseduto io in passato, ma questo non dice molto; ho avuto solo cani maleducati. Non parlo naturalmente di Biro, perché come detto non è un cane.