Varsavia!


I pensieri di un moralizzatore



VIII Capitolo


RELATIVITA' RISTRETTA

Viaggi nel tempo e nello spazio


Scopo della presente opera


Nella stanza dell'albergo ho trovato un dépliant che presenta Varsavia; i principali monumenti, gli spettacoli e la sua storia in pillole. Questa città mi è subito sembrata più vicina perché è davvero, come orgogliosamente sosteneva il dépliant, nel cuore dell'Europa; così ho buttato giù le pillole e ho iniziato a rimettere in fila qualche ricordo.

Sono stato testimone, attraverso le televisioni e i giornali, degli avvenimenti degli anni '80; delle vicende più lontane trattengo solo frammenti di memoria che risalgono allo studio dei libri di storia del liceo e, quindi, praticamente niente. Mi è venuta voglia di rimettere in ordine le idee mettendo giù qualche appunto e ho avuto così l'occasione, per la prima volta, di riflettere sulle vicende della Polonia.

Parlare di Storia è cosa seria e compete a persone serie. Preso da un attimo di vanità, mentre compilavo e ordinavo, già pensavo al successo che mi attendeva, ottenuto grazie all'originale esposizione critica di dettagli perduti nella memoria polacca e sconosciuti ai più. Avrei potuto scrivere pagine piene di buoni sentimenti e di oneste prese di posizione! Sarei potuto diventare un vero scrittore!

Ma dietro a ogni uomo di successo, come tutti sanno, c'è una grande donna che lo segue, lo incoraggia, gli indica il cammino e non lo perde d'occhio un solo istante. Ho sentito un brivido lungo la schiena e sono stato preso per un attimo dal terrore. Ho avvertito una presenza. Mi è sembrato perfino di sentire una piccola mano sulla mia, mentre scrivevo, una mano che sembrava voler guidare la mia penna e che però poi tentava di strapparmela per continuare a scrivere da sola. Ho visto i graffi delle sue unghie e ne ho avvertito il dolore.

Si è aperta la finestra e una folata di vento ha scosso le tende. Infine, il silenzio. Il cuore ha iniziato a battere più forte. Mi sono voltato di scatto, con la fronte imperlata di sudore. Non c'era nessuno. Mariella era ancora a casa, non mi aveva scoperto. Potere della suggestione.

Non disponendo dunque della mia grande donna alle spalle, essendo solo soletto in Polonia, ho dovuto ridimensionare i miei progetti. Considerando con freddezza le potenzialità dell'opera, sono arrivato all'unica conclusione possibile. I pensieri sparsi e svolazzanti vanno bene in una sola occasione: quando, rilassati e tranquilli, sediamo e finalmente possiamo lasciare andare ciò che ci aveva dato pena, senza doverci più frenare; ce ne liberiamo senza rimpianto alcuno, come se non fosse stato parte di noi stessi fino a qualche minuto prima. In quei momenti riprendiamo possesso del nostro corpo e lo poniamo al primo posto, ma ricordiamo pure di avere una mente da intrattenere. Affamati di sapere, siamo disposti a leggere perfino le istruzioni d'uso dello shampoo o le informazioni pubblicitarie di una crema per il corpo. Proprio allora, se non ci fosse il nuovo Topolino a disposizione, si potrebbe prendere in mano Varsavia.

Conto inoltre sull'editore, perché realizzi il tomo in carta sufficientemente morbida; perché essendo io convinto della necessità di rispettare la natura e riciclare per quanto possibile ciò che usiamo, intravedo già il possibile uso finale della mia stampa. Essa compirà così il suo destino. Dopo averli intrattenuti nel momento del bisogno, si avvicinerà ai miei Lettori per un attimo d'eternità e si colorerà per sempre di gloria.

Talvolta si dice, parlando ai ragazzi di un libro che si sta consigliando per le sue virtù: "Speriamo che dopo la lettura vi resti qualcosa dentro!" In questo caso, forse, è meglio di no.

Il mio auspicio è dunque un altro. Nello scrivere, ho evitato con cura il tono graffiante. Ora spero che le mie parole siano morbide come la seta e che per una volta almeno, delicate come una carezza, possano toccare i miei Lettori nel profondo. Se non tutti, almeno i più aperti.



Eroi e Supereroi


Nel 1939 i Tedeschi invasero la Polonia e appena dieci giorni dopo l'inizio delle manovre militari presero Varsavia. I sovietici, nel frattempo, occuparono la Polonia orientale. Il governo polacco si trasferì in esilio a Londra.

Gli abitanti della Capitale furono sempre molto attivi nell'organizzare la resistenza al nemico, nonostante le terribili condizioni di vita cui furono sottoposti. I primi a ribellarsi furono gli Ebrei. Erano circa 400.000, quando nel 1940 furono rinchiusi nel Ghetto. Di lì, con continuità ed efficienza, erano prelevati e mandati al lager di Treblinka, a circa 80 Km da Varsavia, dove ne morirono più di 300.000. Quando nel 1943 i Tedeschi decisero di radere al suolo il Ghetto, i 30.000 superstiti organizzarono un'inutile, disperata resistenza. Al massacro sopravvissero circa 2.000 persone.

Prima di partire, avevo preso in considerazione la possibilità di visitare Treblinka, ma non ne avrei avuto il tempo e non ne avrei avuto il coraggio. Alla fine, non ho nemmeno messo piede nel Ghetto, che è ormai un quartiere come un altro e conserva, a memoria della sua storia, solo qualche monumento.

Le vicende del Ghetto sono raccontate con delicatezza, ma anche con realismo, in un film di Polanski, Il pianista. Andai a vederlo con Mariella qualche anno fa, ma le chiesi di uscire alla fine del primo tempo. Non è il genere di film che preferisco; recentemente vedo quasi esclusivamente film per ragazzi, in particolare quelli sui supereroi, come l'Uomo Ragno o I Fantastici Quattro.

È straordinario quanti danni possa causare un supereroe per liberare il mondo dai cattivi, senza che nessuno si faccia seriamente male. È purtroppo ordinario quanto male possano fare i cattivi, approfittando dell'assenza dei supereroi, per liberare il mondo dalle persone normali.



Varsavia e le altre città


La storia di Varsavia ebbe un momento di immenso dolore nell'estate del 1944. L'armata partigiana polacca organizzò un'insurrezione popolare che non fu coronata da successo; i Tedeschi decisero di distruggere la città e misero in atto il loro proposito con grande efficienza, incendiando i palazzi storici e abbattendo con l'esplosivo, strada per strada, pressoché ogni costruzione. Non rimase pietra su pietra; morirono 650.000 persone.

Pochi mesi dopo, la situazione cambiò radicalmente e i cacciatori divennero prede. Gli Alleati, dopo avere sfondato sul fronte occidentale delle Ardenne, penetrarono in Germania e contemporaneamente avviarono una pesantissima campagna di bombardamenti. A poco più di 500 Km da Varsavia si trovano Berlino, Dresda, Lipsia, Magdeburgo, tutte duramente colpite.

Gli Alleati non andavano in giro a rastrellare Ebrei e non facevano saltare palazzi con l'esplosivo, ma i bombardamenti aerei, per i notevoli progressi tecnologici ottenuti in campo bellico dagli Americani e dagli Inglesi, furono ugualmente terribili. Berlino, alla fine della guerra, contò 1.600.000 morti. La romantica Dresda, città priva di obiettivi strategici e rifugio degli sfollati di tutta la regione, fu rasa al suolo in una notte da uno dei bombardamenti più feroci della storia; l'effetto fu più drammatico del lancio dell'atomica su Hiroshima e sollevò lo sdegno nello stesso Parlamento inglese. Non sono riuscito a capire quali siano state le ragioni di questa azione, né chi l'abbia voluta, ma ho ancora qualcosa da dire in proposito. Dresda fu distrutta da bombe incendiarie, bombe che le convenzioni internazionali hanno successivamente messo al bando, ma che gli USA conservano e hanno usato ancora nella guerra in Iraq, come documentato dalla RAI. Pittoresco il nome in codice della missione: shake and bake, cioè scuoti e passa al forno.

So che dovrei, ma a questo punto non riesco a sdrammatizzare il racconto. Documentandomi per buttare giù queste poche righe ho letto pagine che mi hanno profondamente impressionato. Qualche vecchio libro di storia ci ha insegnato che la Grande Guerra è stata vinta dai buoni; purtroppo, tutte le parti in causa si sono invece macchiate di delitti orribili.

Chiudo con un'opinione personale sulla verità storica. Oggi si tende a credere che, dopo la caduta del muro di Berlino, finalmente conosciamo la verità che era stata occultata dai comunisti. Io penso invece che, come sempre, abbiamo a disposizione solo la verità dei vincitori; l'unica cosa cambiata è che nel frattempo i comunisti hanno perso. Se dunque fino a 15 anni fa c'erano due vincitori con ideologie diverse, ora ne resta uno solo, che più facilmente ci fa credere ciò che vuole. Così abbiamo riscoperto l'orrore delle foibe e dei gulag, e questo è un bene; ma sarebbe altrettanto opportuno riscoprire cosa ha fatto, nel frattempo, l'altra parte in causa.

Ed eccomi qui, infine, a considerare che la verità dei vincitori si limita a descrivere le colpe dei vinti. Ma tornando al punto: il confine tra Germania e Polonia non mise gli uni da una parte e gli altri dall'altra; in questa tormentata regione persero tutti.



Predatori e prede


Ricordi dei tempi dell'università: Predatori e prede è un celebre modello matematico dell'equilibrio tra due popolazioni, una di prede, che sfruttano le risorse ambientali, l'altra di predatori, che mangiano le prede, che dà luogo a complicate equazioni differenziali non lineari. Chissà se Mariella se ne ricorda; fu un esempio di applicazione del teorema di Ljapunov che incontrammo insieme nei banchi dell'Università, precisamente seguendo il corso di Metodi matematici per la fisica nell'Aula di Rodi, un posto metafisico che sarebbe potuto esistere solo a Napoli.

Nonostante i ricordi legati a un periodo bello, che fanno sempre un effetto romantico e piacciono ai lettori, questo preambolo non c'entra niente con ciò che voglio raccontare nel seguito; era solo per descrivere il titolo. Cambiamo argomento.

Fin dal primo giorno, ho avuto tra le mani una piccola guida turistica che riportava in breve tutti i buoni motivi per ricordare la Polonia. Era fatta abbastanza bene, come del resto anche il piccolo dépliant di cui ho detto precedentemente, quello che nel capitolo VI era caduto con fracasso. Non escludo che, a livello subliminale, queste letture siano state il motore dell'iniziativa di raccogliere qualche pensiero su Varsavia; la cosa è poi degenerata, ma questa è un'altra storia.

La guida, lo dico con cautela immaginando l'ansia che la notizia provocherà nei gentili lettori, da sempre pronti a tutto ma forse allo stremo delle forze e di certo preoccupati della piega che prenderà questa storia, la guida, dicevo, ahimè dedicava un rigo a ciascun Polacco di rilievo. Iniziamo dunque da Polanski, il regista premio Oscar 2002 per il film Il pianista, di cui ho già parlato, e di tanti altri capolavori: Rosemarie's baby, Chinatown, L'inquilino del terzo piano, Frantic, e il recente Oliver Twist.

Roman Polanski ha vissuto momenti molto drammatici. La sua famiglia, ebrea di origine polacca, venne rinchiusa nel ghetto di Varsavia nel 1939. Roman riuscì a fuggire, ma perse la madre, deportata in un campo di sterminio. Nel 1969 la sua prima moglie, l'attrice Sharon Tate, fu uccisa da un maniaco satanista a Los Angeles. Successivamente, Polanski soffrì a lungo di depressione e sensi di colpa; si lasciò andare all'uso di droga e alcol e fu coinvolto in una orribile storia di violenza su una minore. Condannato da un tribunale americano, fuggì dagli USA per non finire in prigione; da allora vive tra Francia e Polonia.

È certamente un grande regista. Provo a capire cosa porta nell'animo, ma queste ultime vicende non me lo rendono per nulla simpatico.



Gli spaghetti di Tanino


Il più famoso attore polacco, Klaus Kinski, aveva la testa a forma di teschio con una selva di capelli poggiati sopra, tagliati con la ciotola. Si trattava di un volto unico e straordinariamente allucinato; purtroppo non solo nella finzione scenica, perché Kinski ha avuto occasione, a più riprese, di frequentare manicomi. La sua follia forse è radicata nell'adolescenza, si dice avesse le pulsioni incestuose che non l'hanno mai abbandonato già da ragazzo, ma di certo esplose dopo l'esperienza della guerra e la prigionia in un campo inglese.

Questa vicenda mi riporta a un'altra storia di guerra e campi di concentramento. Ho conosciuto una sola persona che avesse vissuto l'esperienza del lager: Tanino, figura quasi mitologica, citata per antonomasia dalla mamma di Mariella per indicare chi, per correre dietro ai suoi pensieri, gira e rigira la forchetta nel piatto e non mangia mai; anzi, mentre passa il tempo, gli spaghetti, invece di diminuire, aumentano.

Ho parlato due volte con Tanino e una di quelle fu in occasione del miracolo degli spaghetti. L'episodio avvenne a casa di Mariella. Tanino era seduto da solo, a tavola, perché era giunto dopo l'ora di pranzo. Noi eravamo sul divano e lo ascoltavamo mentre raccontava, tutto trafelato, una sua piccola disavventura familiare.

Non posso aggiungere molto, sono passati troppi anni perché possa distinguere ciò che mi ha detto Tanino da ciò che di lui mi hanno detto gli altri. Ricordo però questo particolare: considerava i tedeschi come una specie a sé, di intelligenza superiore. Da ragazzo ho spesso sentito citare la tecnologia tedesca con troppo rispetto, nato forse quando ancora la parola Germania faceva paura. Però la deferenza di Tanino era eccessiva; io l'ho attribuita a una specie di sindrome di Stoccolma motivata da un complesso di inferiorità, evidentemente dovuto alle terribili condizioni di stress patite.

Dall'episodio degli spaghetti non ho più visto Tanino, che è scomparso qualche tempo fa e che tutti ricordano come un brav'uomo. Credo che abbia portato con sé, fino alla fine, la sua sindrome e la sua forchetta.

Anche Klaus Kinski è morto recentemente. Aveva un pessimo carattere e non so cosa abbia portato nel suo cuore durante gli ultimi anni. A differenza di Tanino, il suo ricordo non mi fa tenerezza.

Poche pagine prima, ho espresso la mia freddezza nei confronti di Polanski e ora mi ripeto per Kinski. Non ce l'ho con tutto il cinema polacco, ma solo con questi due.



La contemporaneità degli eventi


Varsavia è la città dove fu siglato nel 1955 il Patto che ha legato per 35 anni i paesi dell'area sovietica. Stalin era morto due anni prima e il suo successore, Nikita Khruščёv, presentò il Patto di Varsavia come un'intesa per la reciproca collaborazione e l'aiuto militare, da attuarsi in caso di aggressione esterna. Si trattava ovviamente della risposta del blocco sovietico all'organizzazione atlantica, la NATO, che era nata già da qualche anno. Nell'area del Patto confluirono, accanto all'Unione Sovietica, la Germania orientale, la Polonia, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, l'Albania, la Romania e la Bulgaria. Mancava all'appello solo la Jugoslavia, retta dal generale Tito, che rifiutò legami troppo stretti con l'URSS.

Nel 1956 si ebbe una importante dimostrazione della funzionalità dell'accordo. Invocando il Patto di Varsavia, Khruščёv inviò le truppe sovietiche per sedare la rivolta popolare che era scoppiata in Ungheria. In quell'occasione, il leader sovietico sostenne di agire per la difesa del governo legittimo, contro un tentativo di eversione che lo aveva rovesciato. I sovietici consideravano i moti ungheresi come un tentativo di ripristinare un regime filofascista, sullo stampo della reggenza di Horthy nel ventennio tra le Grandi Guerre; naturalmente i rivoluzionari vedevano la cosa in modo diverso.

Con Brežnev, che nel 1964 prese il potere in URSS, l'interpretazione del Patto cambiò drasticamente (la nuova interpretazione fu indicata come Dottrina Brežnev, o della sovranità limitata) e vincolò i paesi al più rigoroso rispetto della politica imposta dall'URSS. La nuova visione permise a Brežnev di invadere nell'agosto del 1968 la Cecoslovacchia; questa volta, a differenza dell'intervento in Ungheria, i carri armati erano inviati contro un governo legittimo. L'azione di Brežnev fu dettata dalla preoccupazione per le idee riformiste di Dubček, a capo del partito comunista cecoslovacco dal gennaio 1968, che durante la Primavera di Praga erano descritte come comunismo dal volto umano. La Polonia, che in quegli anni aderiva con fedeltà al Patto, inviò proprie truppe a Praga per collaborare alla rinormalizzazione.

La Primavera di Praga (ricordiamolo, una locuzione inventata dalla stampa occidentale) mi riporta al clima del 1968, che ha partorito la generazione dei sessantottini, cui non appartengo perché ho qualche anno meno del necessario. Non ho dunque memoria diretta dei fatti che ho raccontato; nel 1968 ero in II elementare e la mia maestra, la Signorina Moraca, non sembrava molto propensa a parlare di agitazioni sociali, né io avrei capito molto della questione. Qualche anno dopo rivelò alla classe di essere ancora addolorata perché l'Italia aveva tradito il suo alleato, la Germania di Hitler. È un dettaglio che mi ha permesso, in seguito, di capire qualcosa delle sue idee politiche.

Dopo il 1968 ho continuato tranquillamente a dormire e ho iniziato a seguire con un certo interesse le vicende politiche internazionali solo molti anni dopo. Visto il tema di questo libricino, non vorrei però divagare troppo; riporto subito l'attenzione sulla Polonia. Il primo episodio della storia polacca che io abbia vissuto da telespettatore risale al 1978: è l'elezione di Papa Wojtyla. I sovietici si preoccuparono moltissimo di questo evento; era preoccupato in particolare Yuri Andropov, ex capo del KGB e leader dell'URSS in quegli anni, che lo attribuiva a una cospirazione ordita dal polacco Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza americana del Presidente Jimmy Carter, contro i paesi del socialismo reale. Riconsiderando il ruolo svolto da Wojtyla negli anni '80, i loro timori erano ben fondati, ma non so se la Santa Sede si sia fatta manovrare dall'esterno in quell'occasione.

Entrata dunque nei telegiornali del '78 soprattutto per testimoniare la capacità di apprendimento dell'italiano da parte del Papa, la Polonia non ne è più uscita per un bel pezzo. Il 1988 è stato l'anno in cui se ne è forse parlato di più. Era il periodo clou della crisi del socialismo reale; il clima politico in Polonia era dominato dal malcontento per la situazione sociale e dalle grandi aspettative create dalla glasnost di Gorbachev, al potere in URSS dal 1985. Sempre sostenuto moralmente dal papa, il sindacato Solidarność (Solidarietà), guidato da Lech Wałęsa, organizzò un'ondata di scioperi. Dopo 80 giorni, il governo di Jaruselski fu costretto ad aprire un tavolo di trattative; in settembre si aprì la discussione che portò, tra l'altro, al riconoscimento ufficiale del Sindacato.

Nel dicembre 1988, Gorbachev rese pubblica la sua interpretazione del Patto di Varsavia: la dottrina Sinatra, il cui Il nome prende spunto dalla canzone di Sinatra I did it my way, Ho fatto a modo mio. I Paesi del Patto avrebbero potuto liberamente riconsiderare la loro adesione e l'Unione Sovietica avrebbe lasciato piena libertà di scelta. Non passò molto tempo perché i paesi aderenti prendessero atto della nuova situazione: la crisi della Germania Est si acuì e non ci fu alcun intervento del Patto; il 9 novembre 1989 crollò il Muro di Berlino; la Polonia, insieme ad altre nazioni, uscì dal Patto all'inizio del '91; in quello stesso anno, il Patto di Varsavia fu dichiarato decaduto.

Il mio ricordo di quegli anni è un po' sfocato, probabilmente perché ero distratto da vicende di carattere privato. Mi ero iscritto nel '79 all'Università e due anni dopo avevo già ottenuto un importante successo: avevo acchiappato una femmina. La presa è stata tenace: non mollo Mariella da quasi 25 anni. In questo momento, andiamo ancora abbastanza d'accordo; non so dire che iniziative lei possa prendere dopo aver letto Varsavia!

Quando stavamo insieme, eravamo talvolta presi da istinti di natura non politica; ma non mi addentro nella descrizione, che esula dagli scopi di quest'opera. Riporto invece un episodio più pertinente. Una volta, ebbi l'ardire di difendere l'operato di papa Wojtyla; credo si trattasse di una delle tante circostanze in cui aveva appoggiato Solidarność. Fui messo a tacere in modo molto deciso; Mariella mi disse che ero ancora succubo della cultura clericale, derivante dalla mia educazione cattolica. La discussione degenerò: eravamo ragazzi ed eravamo massimalisti. Ora siamo più flessibili sulle questioni politiche e religiose, ma ricordo con piacere e con tenerezza quel modo di essere e perfino quelle belle litigate così culturalmente evolute.

Il 22 giugno 1988 io e Mariella ci sposammo. Durante la festa organizzata nella villetta di I., cui parteciparono solo pochi amici e i parenti stretti, alcuni ospiti non poterono resistere alla tentazione di piantarsi davanti alla TV; tra questi, l'indimenticato Guglielmo, primo marito di Giulia (non è morto, è indimenticato per il modo in cui ha piantato Giulia, restando però buon padre e, alla lunga, amico). Non fu per seguire le notizie su Wałęsa e i suoi compagni, in sciopero a oltranza; più semplicemente, si giocava la semifinale URSS - Italia degli europei di calcio. Perdemmo 2-0 sotto una pioggia battente e fummo eliminati, dopo aver passato il primo girone in modo promettente.

Andammo ad abitare nel piccolo appartamento di Vico S. M. Il luogo era pittoresco e i nostri vicini sembravano saltati fuori da una novella di Salvatore Di Giacomo. Come notò la nostra buona amica Anna, avremmo notevolmente migliorato la vivibilità della stanza da pranzo se avessimo montato ombrelloni e sedie a sdraio sul balcone, ma non l'abbiamo mai fatto. Dai disegni che conservo si ricava con una certa precisione la misura del balcone: era profondo 20 cm. Anna era una briccona.

Comunque, la vita era leggera ed eravamo spesso in compagnia; non possedendo un cane, a volte ospitavamo altri animali di passaggio. Ancora non so giustificare il motivo della nostra preferenza per i topi; si nascondevano sull'armadio o dietro i mobili della cucina e davano molti fastidi. Non riuscendo a stabilire regole di buona convivenza, ero alla fine sempre costretto a liberarmene con le cattive maniere.

Il 1989 ci trovò giovani sposi, entrambi insegnanti di fisica, ma in due diverse scuole (Mariella all'ITIS F., io all'ITIS P.) Gaia, la nostra vecchia amica e collega di studi, che allora frequentavamo con una certa assiduità, riuscì a riassumere in modo brillante l'atmosfera di quei tempi. Parlando con Mariella disse, più o meno: "Che anno straordinario il 1989: È crollato il muro di Berlino; io ho avuto mio figlio; e anche tu sei incinta!" Infatti, raccogliemmo nel '90 ciò che avevamo seminato nel 1989: la piccola Ialina. Non è però il caso di personalizzare; ci sono stati altri avvenimenti fondamentali nello stesso periodo. Per esempio, è stato seminato anche mio nipote Luigi. Mia sorella Anna Maria, che si era presentata alla sua seduta di laurea con un bel pancione, lo raccolse nel '90, un paio di mesi prima che nascesse Ialina. Gioia aveva ragione; quel periodo ha segnato profondamente la nostra storia.

Torniamo alla politica. In quegli anni anche in Italia ci si sentiva agitati, per simpatia con gli Europei dell'est. Nell'autunno '89 nacque così il movimento studentesco della Pantera, che tra i maggiori successi conta il rinvio della seduta di laurea di mia sorella Anna Maria. Oggi non se ne ricorda quasi più nessuno (a parte Anna Maria).



Come Bertinotti e D'Alema


Lech Wałęsa ha segnato parte della storia recente della Polonia e dell'Europa. Nato a Popowo nel 1943, trovò lavoro come elettricista nei cantieri navali di Gdansk. A 27 anni era già un leader riconosciuto nel mondo operaio locale. Durante la dura vertenza sindacale del 1970, finì per la prima volta in prigione per un breve periodo.

Da quel giorno Lech portò avanti con forza l'iniziativa del nascente sindacato, il sindacato della solidarietà operaia: Solidarność. Il cursum honorum che ne seguì è degno di nota. Dopo un'ondata di scioperi, nel 1980 firmò con il governo l'accordo che legalizzava il diritto di sciopero. Quando il clima politico cambiò, Wałęsa fu prima licenziato dai cantieri navali e poi messo agli arresti domiciliari. Dopo qualche tempo, ottenne il permesso di espatriare; visitò allora Papa Wojtyla a Roma. Ancora in condizioni di libertà vigilata, gli fu assegnato il Nobel per la pace nel 1983.

Il suo peso politico era ormai divenuto determinante; come ho già ricordato, nel 1989 contrattò col Presidente Jaruzelski una maggiore apertura politica e il riconoscimento ufficiale di Solidarność, favorito in ciò dalla glasnost (la Trasparenza) voluta dal Presidente sovietico Gorbachev. Fu invitato negli USA e partecipò a una storica riunione congiunta dei due rami parlamentari di Washington. Dopo la caduta del regime comunista, vinse a larghissima maggioranza le prime elezioni dirette per la Presidenza della Repubblica della storia della Polonia. Terminò il suo mandato nel '94.

Seguì ben presto il declino; non ricordo più i dettagli, né riesco a ricostruirli, tranne il fatto che Mariella ne fu contenta perché Wałęsa non le era mai stato simpatico. Difficilmente si può trovare questo dettaglio sui libri, ma dice il poeta: la storia siamo noi.

Wałęsa non aveva mai rotto con il Partito Comunista e aveva anzi appoggiato lo stesso Jaruzelski nelle fasi convulse seguite al crollo del muro di Berlino e all'ondata anticomunista che ne era seguita. Da Presidente non ebbe la forza e, forse, neanche la capacità di guidare il paese fuori dalle secche. Non era compito facile; non ebbe miglior destino lo stesso Gorbachev in Unione Sovietica. Al termine del mandato presidenziale, dopo un quadriennio privo di iniziative forti, fu sconfitto alle elezioni politiche dall'ex comunista Kwaśniewski. Il governo di Wałęsa non deve essere stato particolarmente brillante. Non me ne voglia nessuno; me lo immagino come un Bertinotti con le leve del comando in mano: chi è nato all'opposizione, difficilmente può governare bene. Però Wałęsa fu anche accusato di corruzione, un peccato che non mi sembra nelle corde di Bertinotti.

C'è una nota postuma: sono riuscito a scoprire che fine ha fatto Wałęsa. Ha Fondato una Fondazione. Si chiama giustamente Lech Wałęsa Foundation. Il suo programma è più o meno questo: salvaguardare le tradizioni polacche e promuovere l'immagine della Polonia e dei Polacchi nel mondo. Obiettivi nobili e generici.

Questa iniziativa mi ha subito ricordato quella di D'Alema. Terminato il suo mandato da Presidente del Consiglio, anch'egli senza grande gloria, creò la sua Fondazione. Con maggior modestia, anziché Fondazione D'Alema, la chiamò Italianieuropei. Il programma è meno vago: leggo sul sito internet che "La Fondazione Italianieuropei promuove una riflessione sui rapporti tra politica e giurisdizione quale contributo a un programma di governo per la riforma della giustizia italiana".

Mi sono fatto l'idea che le Fondazioni debbano essere un luogo tranquillo dove parcheggiare politici in disgrazia. Ci si trovano bene e danno meno fastidio. Purtroppo a volte ritornano, come gli Zombi dell'omonimo film.

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