Varsavia!
I pensieri di un moralizzatore
Papà normali e super
Maria Skłodowska nacque a Varsavia nel 1867. La città ricorda la sua eroina della scienza, vincitrice di due Nobel, con il Museo Curie, che non ho avuto il tempo di visitare, e con due targhe che segnano le case dove abitò da ragazza, una nel cuore della città vecchia, l'altra un po' fuori del centro storico, proprio in prossimità del mio albergo.
In quegli anni, la Polonia era stata smembrata e la capitale era finita sotto l'impero dello zar Alessandro II. I Russi imponevano l'uso della loro lingua nelle scuole polacche di ogni ordine e grado. Maria, i suoi fratelli e tutti i ragazzini di Varsavia furono obbligati a studiare la matematica, la storia e la geografia in una lingua che non era la loro.
Vladislav Skłodowski, il papà di Maria, era un professore di matematica e fisica. Conosceva il latino e il greco e parlava il francese, l'inglese e il tedesco. Lui non sentì troppo il problema della lingua: anche con il russo se la cavava così bene, da poter correggere l'ispettore madrelingua spedito a controllare il suo operato nella scuola.
Vladislav credeva fermamente nell'importanza della cultura ed insegnava con passione. Organizzò la sua casa come un collegio e impostò di conseguenza l'educazione dei suoi figli. Ciascuno di loro ebbe una brillante carriera scolastica e universitaria, coronata da grande successo professionale. Maria non poté però frequentare l'Università di Varsavia, che era preclusa alle donne; le suffragette dovevano ancora iniziare a darsi da fare.
Eva, la figlia di Maria, parla del nonno nella sua Vita di Madame Curie. Lo ricorda come una persona eccezionale e si stupisce del fatto che fosse rimasto, nonostante le sue qualità, un oscuro professore di scuola secondaria. Il prof. Skłodowski effettivamente non riuscì ad emergere come forse avrebbe meritato e fu spesso amareggiato per le umiliazioni e le limitazioni imposte dal regime alla sua carriera professionale. Sono però sicuro che abbia avuto le più grandi soddisfazioni che un padre possa desiderare, assistendo al successo dei suoi figli. Alla fine, a me sembra che sia stato un uomo fortunato.
Anche io sono un padre fortunato; non ho niente da invidiare a Vladislav Skłodowski. I miei figli sono notevolmente influenzati dalla mia autorità e nutrono un profondo rispetto verso me e le mie idee. Si sa che i genitori vivono oggi una grave crisi di identità e stanno sempre a chiedersi se fanno bene o fanno male, se devono parlare o tacere. Io non sono da meno; mi contorco al pensiero che, alla fine, sarà solo colpa mia se la mia discendenza non potrà fregiarsi di uno o due premi Nobel.
Il mio problema è che riesco a convincere tanto a fondo i ragazzi di quello che dico, che prendono tutto per oro colato. Appena apro la bocca per pronunciare la parola ordine, già li vedo schizzare come saette a rifare letti, sistemare armadi, riempire zainetti. Se comincio a sillabare la parola studio, eccoli con libri e quaderni, righe e compassi, immersi fino a distaccarsi dal resto del mondo. Recepiscono ogni suggerimento, ogni invito, ogni desiderio paterno; e tuttavia, nel rispetto delle mie direttive, si muovono con enorme autonomia e sconfinato senso di responsabilità. Quasi mi vergogno del clima di consenso che regna intorno alla mia persona.
Mi compiaccio di ciò che fanno; e come potrei non essere felice di sapere che passano ore ed ore a interagire con la realtà che li circonda, sfruttando ogni mezzo di comunicazione che la tecnologia mette a loro disposizione? Con la testa nel computer, con lo sguardo fisso sul televideo, con l'orecchio appiccicato al telefonino, captano ogni evento di interesse per l'umanità, dai pettegolezzi delle chat ai voti dei calciatori. Si cibano del nettare che stilla da Mediaset e non trascurano l'ambrosia della RAI. Cerco di esser loro accanto in tutti questi momenti; ma ahimé mi manca il tempo, e continuo a perdere puntate su puntate della Telenovela Un posto al sole, né riesco a essere aggiornato come vorrei sui dettagli necessari per impostare correttamente un incontro di fantacalcio. Hanno tanti amici, e vivono allegramente la loro vita. Mi vogliono bene, e io sono contento così. Molto contento.
Ma ora devo cambiare tono, perchè queste pagine non si trasformino in una patetica e lacrimevole poltiglia sentimentale. Così, per accreditarle del giusto tono scientifico che impregna il resto dell'opera, passerò ad esemplificare alcuni dei concetti esposti, soffermandomi soprattutto a dimostrare la mia intima coerenza e l'erettitudine morale degli insegnamenti che presento ai miei figli.
Una sera eravamo convenuti ad un cenacolo letterario, in Via G., al numero civico 1. Erano presenti il sottoscritto, Mariella, Ialina, Marco, Biro, Roberto, le sue sorelle e sua madre Maria Sole. Si discuteva di storia, religione, letteratura, musica; solo Biro mangiava in silenzio, seduto compostamente a tavola, con la testa china sul piatto. Ad un certo punto, Ialina disse a Roberto, continuando il suo discorso:
-...ma se la porti, la vorranno vedere tutti... lo sai come sono... ci metteranno le mani sopra, la toccheranno..."
E Roberto, di rimando:
- Guarda che lo sai, io non la faccio vedere nè toccare a nessuno!
Intervenendo, dissi io:
- Ma non la fai toccare neanche a Ialina?
E Roberto :
- Umberto, ma è possibile che pensi sempre a una cosa? Stai diventando un erotomane!
Ma io, concludendo:
- Ti sbagli, Roberto ... lo sono sempre stato!
Come tutti avranno capito, si parlava della viola (intesa come strumento musicale) di Roberto.
Polonia romantica e polli fritti
Nonostante la sua storia sfortunata, fatta di velleitari tentativi di rivolta sistematicamente repressi nel sangue e nelle deportazioni, la Polonia degli ultimi anni del XIX secolo, filtrata attraverso il racconto dell'infanzia e dell'adolescenza di Maria Skłodowska, mi è apparsa in un alone un po' romantico; una nazione, nonostante tutto e tutti, tenuta unita da valori condivisi, sia culturali che religiosi.
Ho riflettuto un po' per capire se questa impressione potesse avere un fondamento. L'idea era nata pensando alla figura di Vladislav Skłodowskie si era un po' affinata andando a rivedere l'elenco degli intellettuali polacchi di quegli anni.
Spiccano i nomi di tanti matematici: Stefan Banach, Wacław Sierpiński, Samuel Dickstein, Hugo Steinhaus, Jan Łukasiewicz. La scuola polacca del XX secolo fu molto forte e produttiva, ma già prima, nel XIX secolo, Józef Hoene-Wroński (1778-1853), matematico e filosofo, aveva dato importanti contributi alla teoria delle funzioni; anche il suo nome è ben noto agli studenti, soprattutto per il suo wronskiano.
Poi ci sono molti nomi famosi nel campo della letteratura, come Henryk Sienkiewicz (di cui ho già detto per Quo Vadis), Władysław Reymont e Teodor Józef Korzeniowski, e della musica, come Ignacy Jan Paderewski, Arthur Rubinstein, Karol Szymanowski. Sono figure molto diverse tra loro, ma accomunate dallo stesso disagio vissuto a causa della situazione politica della Polonia, divisa tra Russia, Austria e Prussia.
Molte delle persone citate si allontanarono dalla patria; tra queste, la stessa Maria Skłodowska, che a Parigi sposò Pierre Curie e lì visse e lavorò fino alla fine, in un clima culturalmente effervescente.
Quelli che rimasero combatterono, in un modo o nell'altro, una personale e difficile battaglia per la difesa dell'orgoglio nazionale polacco. Esistono tanti aneddoti a questo proposito; dall'abitudine degli studenti a sputare, passando in gruppo, sui simboli degli invasori (faceva la stessa Maria Skłodowska), al puntiglio che essi avevano nel tentare a tutti i costi di demeritare nelle prove di lingua russa, a costo di rischiare l'ammissione agli anni successivi della scuola o dell'Università. Wacław Sierpińskiricorda, ad esempio, di aver rinunciato alla medaglia d'oro per il miglior lavoro prodotto dal Dipartimento di Matematica e Fisica dell'Università di Varsavia, pur di non vederlo pubblicato in russo.
Non tutti i russi dovevano essere, però, così odiosi. Ricordando la bonarietà dell'esaminatore che lo promosse al colloquio di lingua russa nonostante il suo silenzio alla prova, lo stesso Sierpiński si trovò a dire: "Il poliziotto fu umano".
Tornando alla realtà, ci doveva essere poco di romantico in giro. Leggendo della vita delle persone che ho nominato, tutte appartenenti alla borghesia, ho trovato problemi, vessazioni, emigrazione. Eppure erano persone fortunate, perché c'era chi stava peggio. Erano ancora i tempi in cui lo zar contava le anime in suo possesso, cioè i suoi servi della gleba; mi viene il sospetto che, entrando in Polonia, possa aver cercato di riprodurre anche lì lo stesso modello sociale, ma onestamente non ne so nulla.
I Russi consideravano i Polacchi una specie di razza inferiore. Anche i Prussiani la pensavano allo stesso modo. Non so come vedessero la cosa gli Austriaci, che nel frattempo avevano preso Cracovia e la Galizia; l'impero di Francesco Giuseppe è sempre stato considerato culla di moderazione e modernità. Comunque la Polonia, lì in mezzo, faceva da stato cuscinetto o, meglio, da carciofo da sfogliare.
Dunque, come tanti altri, Maria Skłodowska emigrò e fece futura in Francia. L'altro padre della scienza polacca, e certamente tra i padri dell'astronomia moderna, Copernico, aveva avuto, due secoli prima, una vita forse ancor più movimentata. Agli anni della formazione culturale in Italia, tra Padova, Bologna e Pisa, avevano fatto seguito alcuni anni in patria e poi di nuovo in giro nell'universo dei piccoli stati tedeschi, con un cursum honorum di tutto rispetto. Si potrebbe concludere dicendo che nemo [est] profeta in patria; apparentemente, in Polonia il detto coglie in pieno.
Nonostante il suo successo, Copernico vide pubblicato il suo capolavoro, il De Rivolutionibus, solo sul letto di morte. Sarà stato forse per questo che nessuno gli chiese di fare abiura, per correggere la scandalosa affermazione che la Terra gira intorno al Sole.
Oggi Copernico è tornato a casa: è un imponente bronzo, pacificamente seduto al centro della piazzetta che ospita il Kentucky Fried Chicken, il regno del pollo fritto, dove sono seduto a scrivere queste righe, con le mani tutte unte e la bocca piena.
Elementi fondamentali
L'Italia non ha un elemento chimico che ricordi il suo nome. L'unico elemento della tavola periodica associato all'Italia è il Fermio, un elemento radioattivo artificiale, dedicato a Enrico Fermi. La Polonia invece ne ha uno, il Polonio. Fu scoperto da Marie Curie nel 1898. È un metallo grigio-argento, molto raro, radioattivo. Il numero atomico è 84 e la massa atomica dell'isotopo più abbondante è 209.
L'elemento più popolare in Polonia è però il Calcio. Il Calcio è un metallo alcalino terroso, con numero atomico 20 e massa atomica 40. Il Calcio non si presenta isolato in natura, ma fa parte di moltissimi composti ed è molto abbondante. Si gioca su campi erbosi di 105 ´ 68 m2 tra due squadre di 11 giocatori.
Il Calcio polacco ha una discreta tradizione a livello internazionale. Il mio ricordo più vivo è legato ai Mondiali del 1974; avevo 13 anni e seguivo il campionato pieno di speranze, perché avevo ancora impresse nella memoria le partite finali del Mondiale '70: Italia - Germania 4-3 e Brasile - Italia 4-1. L'Italia era allenata da Valcareggi (morto il 2 Novembre 2005, mentre risistemavo gli appunti di Varsavia), che aveva già al suo attivo un primo posto agli Europei del '68 e il secondo posto al Mondiale '70. Sulla carta, la squadra non era male: tra i giocatori convocati c'erano Zoff, Facchetti, Capello, Rivera, Mazzola, Riva, Chinaglia; tutti giocatori che hanno lasciato il segno. Molti di loro continuano ad avere un ruolo nel calcio italiano.
La Polonia era nel nostro girone, insieme ad Haiti e Argentina. L'incontro Italia - Polonia fu decisivo. Noi avevamo bisogno almeno di un pareggio, dopo aver battuto in modo rocambolesco Haiti e aver pareggiato con l'Argentina. Perdemmo invece per 2 - 1 e la Polonia vinse il girone a punteggio pieno. Io ci rimasi malissimo.
Quella nazionale polacca era molto forte e finì i Mondiali al terzo posto. I giocatori di maggiore spicco erano Lato, che fu capocannoniere con 6 reti, e Deyna. Il calcio polacco si espresse ai massimi livelli ancora per diversi anni e produsse campioni di spicco. Nessuno juventino (nemmeno, lo dico con dolore, mio fratello juventino) ha dimenticato ZbigniewBoniek, detto Zibì. Boniek, insieme a Michel Platini e a Paolo Rossi, formava una terna d'attacco davvero invidiabile. La Juve vinse con loro Campionato, Coppa Italia, Coppa dei Campioni e Supercoppa. Oggi Boniek è un commentatore sportivo; lavora per la TV polacca e occasionalmente per alcuni canali italiani. Io l'ho visto in un talk show romanista: perché nella Roma ha concluso la sua carriera ed a Roma continua a vivere da allora.